I non-graffiti di Alessio Patalocco (2010, VIII)

Introductory text to the Alessio Patalocco’s book about his painting and graffiti work.

Carta S, The Work of A. Patalocco, in RosaStrada. Arte urbana, Roma, 2011, Ginevra Bentivoglio Editori ISBN: 8895064550

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More info at: http://www.alessiopatalocco.eu/

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La sfera di immagini che la parola graffiti produce è comunemente ricondotta all’ambiente underground della New York City dagli anni sessanta del millenovecento in poi1. In questo senso, i graffiti sono lettere, immagini, effetti ottici che vanno da semplici tag ad elaborati dipinti realizzati sui vagoni della metropolitana o su qualsiasi superficie urbana. Il graffito diventa quasi da subito una tecnica vicina alle culture underground, ai gruppi in disaccordo con le gerarchie, le istituzioni e gli schemi sociali in atto. Nella sua accezione contemporanea2, esso si manifesta come un segno di protesta generica e affermazione di una identità di gruppo o individuale.

Il graffito come mezzo per richiamare l’attenzione di un pubblico cittadino viene trasportato dagli Stati Uniti al resto del mondo a seguito del fascino che la cultura popolare americana ha esercitato dalla seconda metà del ventesimo secolo in poi. Diversificandosi ed entrando in contatto con altre sfere artistiche e culturali, questa tecnica è stata perfezionata e, in parte, deviata dai suoi obiettivi originali. Da rapido segno di protesta o affermazione come una tag su un vagone treno, si possono ora apprezzare delle variazioni che intersecano la sfera dell’arte. La tag, da segno di demarcazione territoriale (in questo senso, un gesto primitivo), viene elaborata e sofisticata per diventare il mezzo per comunicare un messaggio complesso come ad esempio l’affermazione di un punto di vista su fatti sociali o politici. Da mero bombing (lasciare la propria tag ovunque nella città), viene poi usato per comunicare l’opinione di una certa comunità (crew) al resto della cittadinanza. In questo senso si può citare il britannico Banksy: un caso di eccellenza mediatica risultato del connubio tra un punto di vista ben determinato (pacifista con tratti no-global) unito ad una tecnica (stencil) chiara e di immediata comprensione mediante riferimenti ironici ad un immaginario comune a tutti. (uno per tutti il graffito che raffigura Mickey Mouse e Ronald McDonald che prendono per mano Kim Phúc tratta dalla celebre foto del 1972). Da “Kilroy was here” ai lavori palestinesi di Banksy il passo è lungo, ed i due esempi sono simili nella sostanza, ma estremamente differenti nei contenuti.

Ad ogni buon conto, il senso comune dei graffiti è legato fortemente al fattore rischio, alla dimostrazione di una abilità o stile (più corretta sarebbe l’espressione inglese style) del writer, ad un senso di prodezza e comunque ad certo grado di illecito3.

Photo: courtesy of: A.Patalocco

Il graffito è de facto la risposta ad una necessità privata (una persona o un gruppo di persone) che viene espressa fuori dale vie convenzionali di comunicazione. Un punto di vista di questo tipo può essere presentato all’interno di un libro, di una rivista, di un dibattito pubblico, ma tutte le forme canoniche di espressione seguono dei processi di controllo e passano sotto un vaglio di norme e leggi (sulla privacy, sulle offese a terzi, censure o copyright)4. Il graffito, per lo meno nel suo spirito originario, nasce invece con intenti sediziosi (fuck the system), boicottaggio o di forzata espressione di una presunta libertà personale o di gruppo negata5. Il graffito è la risposta notturna ad una regolazione diurna sempre più attenta della società. Tanto più la società moderna tenta di regolamentare i suoi componenti, tanto più qualcuno di questi non vi si riconosce e tenta di dichiararlo apertamente. È poi interessante in questo senso notare che il graffito venga eseguito in condizioni di occultamento(da passanti, poliziotti o guardie di vario genere) per motivi legali, ma sia diretto al maggior numero di persone possibile. In sostanza viene eseguito nei vagoni dei treni quando questi sono fermi nelle stazioni chiuse la notte, nelle facciate di edifici ben visibili quando sono soggetti a ristrutturazione (i writer sono quindi coperti dalle impalcature) o in luoghi normalmente inaccessibili (la parte laterale di un sovrappasso stradale) ma che in particolari situazioni sono stati “coperti” da ponteggi, oppure in una strada in procinto di essere aperta al traffico. Insomma il graffito nasce di nascosto in situazioni limite, in sordina, la notte, per poi apparire la mattina al centro delle attenzioni del maggior numero di passanti che si può raggiungere.

Un altro interessante aspetto dei graffiti è che, secondo un senso comune a molti writer, sarebbero un tentativo di combattere il “grigio delle città”. Da un punto di vista urbanistico, in riferimento all’Italia, essi si riferiscono probabilmente alle espansioni urbane del dopoguerra in cui numerose città italiane videro la nascita delle periferie, dei quartieri residenziali e di quelli dormitorio. La massa critica di molte città– soprattutto quelle connotate da un rapido sviluppo industriale- è aumentata velocemente non lasciando, in molti casi, lo spazio per un serio dibattito sulla qualità urbana di questi sviluppi. I risultati sono noti a tutti, ma in questo caso è interessante notare come il cittadino abbia interpretato queste espansioni. Un caso noto a tutti è la visione di Adriano Celentano laddove c’era l’erba ora c’è una città – non so perché continuano a costruire le case, perché non lasciano l’erba? Una lettura urbana che viene riproposta, sebbene sotto una tematica diversa, da molti writer a giustificazione delle loro attività, che pretendono di contrastare il sistema (il quale costruisce le case e pianifica urbanizzazioni) con il colore (dei graffiti).

Gli aspetti dei graffiti che ci interessano nell’ambito di questa presentazione sono pertanto quelli riconducibili alle loro caratteristiche urbane, sociali e al loro rapporto con un sistema di leggi sulle proprietà.

L’Arte Pubblica di Alessio Patalocco deve essere vista all’interno di questa prospettiva. Un graffito, per come lo abbiamo analizzato nelle righe precedenti, è sostanzialmente un atto di protesta contro un sistema (politico, sociale, gerarchico o ideale) eseguito nelle superfici pubbliche urbane. Questo segno è manifesto di un ambito di intenti che vanno da una competizione fra crew diverse nell’ambiente urbano, in cui le varie tag dei singoli writer e delle crew stesse vengono riproposte nei luoghi più arditi e significativi, ad esempio una facciata di una banca o di una stazione delle polizia, a dei veri propri avvisi profetici al genere umano, come i messaggi apocalittici delle scimmie di Banksy.

Il graffito è pertanto, sotto aspetti di pianificazione urbana, un atto imprevedibile proprio perché illecito ed eseguito senza un controllo in quanto segno di protesta a quello stesso controllo.

Se ci attenessimo ai parametri fin ora indicati per identificare il genere “graffito”, saremmo portati a mettere in dubbio l’effettiva appartenenza del lavoro di Patalocco ai suoi canoni. La sua Arte Pubblica potrebbe non essere assimilabile ai graffiti. In effetti, se focalizzassimo l’attenzione sul supporto nel quale i graffiti, ad esempio, del citato Banksy vengono eseguiti, noteremmo che si tratta di superfici quali muri su piazze, pezzi di strade e di marciapiedi o intere facciate di case. I graffiti quindi, se non per definizione, quasi per necessità di intenti, vengono eseguiti su superfici rubate alla città. Porzioni di città vengono violentate per divenire testimonianza del passaggio, del pensiero o (nei casi migliori) dell’opinione di singoli. Il confine tra diritto di proprietà privata, diritti pubblici dei passanti e libertà di espressione è in realtà una linea abbastanza sfuocata e non è di nessun interesse per questo testo il cercare di renderla più chiara. Ci è tuttavia utile come sfondo per capire meglio il contesto sul quale le opere dell’autore possono essere collocate.

Il diritto sul supporto dell’opera è quindi l’ago della bilancia tra un graffito e un non-graffito. I lavori di Patalocco sono tutti eseguiti in pieno accordo con la cittadinanza locale. L’istallazione urbana “Il Labirinto dei Writers” a Narni (2009) ad esempio, ha coinvolto, come atto conclusivo della sua realizzazione una partecipazione da parte della cittadinanza nella forma di “sovrascritture” che vanno a completare la stesura di vernice iniziale realizzata da Patalocco. I suoi lavori sono quindi, in un certo senso, stati richiesti, decisi nei loro sommi capi, ed eseguiti nel pieno del rispetto di tutti i possibili fruitori. La cittadinanza non subisce quindi l’opera, ma contribuisce alla realizzazione, facendola, in parte, propria. Sarebbe spontaneo a questo punto chiedersi cosa sono in realtà allora i lavori di Patalocco? Per cercare una via breve, si può affermare che una definizione che racchiuda in toto il suo lavoro non è ancora stata proposta6. Si può invece notare quanto la sua Arte Pubblica abbia un senso urbano. Qualcosa che potrebbe essere assimilabile con una scenografia o grande decorazione urbana, ma che si comporti effettivamente come un componente della città. Alessio Patalocco è un architetto e, quasi per formazione, pensa alla città come una serie continua di frammenti con la capacità di parlare emotivamente agli abitanti”. Quando è chiamato a pensare un intervento di Arte Pubblica, egli lo concepisce come un nuovo tassello da inserire nella città. Le opere qui presentate possono essere considerate come degli elementi urbani, con una gerarchia assimilabile ad una piazza o una strada. I suoi lavori, concepiti in tal modo, contribuiscono ad una immagine più ampia che va aldilà della via o della piazza nella quale vengono realizzati. Questo è un aspetto chiave che non compare nei graffiti visti come imposizione di una identità singola o di una crew. Se vogliamo, questo approccio, è considerabile come una sorta di maledizione in positivo del mestiere dell’architetto: qualunque cosa si faccia, si è influenzati da una visione globale ed armonica della città. I non-graffiti di Alessio Patalocco quindi, non solo modificano le vie di Narni, Terni o Montebuono, ma contribuiscono a cambiare l’immagine totale di queste città.

Silvio Carta

Rotterdam, agosto 2010

1Il movimento ha eccezioni illustri lungo tutta la storia del millenovecento. “Kilroy was hereè una iscrizione comparsa durante la seconda guerra mondiale e diffusa in varie parti del mondo dalle truppe americane in prima istanza e dai simpatizzanti della cultura popolare americana in seguito. Altri esempi, ovviamente non esaustivi, compaiono a Parigi nel maggio del 1968 assieme alle proteste studentesche con la frase “L’ennui est contre-révolutionnaire” o, tornando in America negli anni ’70 il celebre “Dick Nixon Before He Dicks You“ a indicare la sfiducia contro il presidente degli Stati Uniti di quegli anni. Tanti altri si aggiungono alla lista dal “Clapton is God” nella Islington Underground Station a Londra nel 1967 al bicchiere di Martini rovesciato comparso a Manhattan alla fine degli anni ’80 come logo della punk band Missing Foundation. I graffiti sono poi entrati a pieno nel mondo dell’arte riconosciuta per via delle gallerie artistiche. Un esempio fra tanti è il Pop Shop di Keith Haring aperto negli anni ’80.

2È banale, seppur doveroso, ricordare che il graffito come tecnica ha origini antichissime, praticamente quanto l’uomo. L’etimologia della stessa parola riconduce ad una pratica di incisione superficiale (graffio) su una superficie rigida. Il disegno viene “graffiato” su una parete (sia essa anche di caverna) affinché diventi palese ad un pubblico. Il graffito nasce con l’uomo della preistoria, il quale incideva i suoi disegni con ossa animali all’interno dei suoi rifugi nelle caverne, ed attraversa praticamente ogni fase della nostra storia, passando per la civiltà greca all’impero romano, fino ai nostri giorni. In questo testo la parola graffito indica una delle evoluzioni naturali della tecnica che, seppur impropria in un certo senso, riconduce nel linguaggio comune alla pratica pittorica legata alla cultura Hip Hop.

3Una distinzione da graffito a murales può essere utile a questo punto. Il murales è una altra forma evolutiva del graffito primitivo che ha però un rapporto con le istituzioni e la proprietà privata di tipo positivo. I murales vengono realizzati da pittori spesso su commissione del proprietario della superficie (facciata di una casa) o da una municipalità, la quale intende avere un disegno in una superficie determinata della città. I graffiti, d’altro canto, nascono con una predisposizione che prescinde dal consenso dei proprietari delle superfici in questione.

4Esistono dei canali più liberi ed immediati come i blog o i forum, ma vengono spesso moderati dai gestori del sito in questione.

5Non è un caso che la forma di espressione del graffito abbia proliferato nelle aree più povere ed isolate delle grandi città, piuttosto che in piccoli centri o quartieri residenziali elitari.

6Sarebbe troppo semplice includerli fra i murales, in quanto eseguiti lecitamente e sotto il controllo del proprietario del supporto. In effetti ci si avvicinano, ma ricordiamo che Alessio Patalocco è anzitutto un architetto e che il senso delle sue opere non è pertanto puramente pittorico, come quello di un autore di murales.